Comunicato A.I.G.O.C. sulla sentenza della Corte Costituzionale Europea che sancisce l'”eugenismo di stato”

La decisione della Corte Costituzionale di dichiarare leciti l’accesso alla fecondazione artificiale alle coppie non sterili e la diagnosi pre-impianto non ci sorprende in quanto – come già espresso in nostri precedenti comunicati – era nell’aria, ma ci r

Pubblichiamo integralmente il comunicato stampa dell’A.I.G.O.C.  Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici.
La decisione della Corte Costituzionale di dichiarare leciti l’accesso alla fecondazione artificiale alle coppie non sterili e la diagnosi pre-impianto non ci sorprende in quanto – come già espresso in nostri precedenti comunicati – era nell’aria, ma ci rattrista moltissimo perché con questa decisione la Suprema Corte non ha solo dichiarato lecito ciò che solo undici anni fa il Parlamento aveva espressamente vietato perché ritenendo l’accesso alla fecondazione in vitro un mezzo per ovviare alla sterilità ed infertilità di coppia lo consentiva a determinate condizioni che dovevano assicurare  i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito, ma ha ridotto il concepito, il più debole ed indifeso degli esseri umani ad un oggetto, che può essere preteso come diritto, commissionato, prodotto, scartato se è portatore di malattia congenita e/o non perfetto!
La lettura attenta della sentenza n.96/2015 ci fa toccare con mano come l’istituzione voluta dai Padri Costituenti per salvaguardare lo spirito ispiratore della nostra Carta Costituzionale abbia completamente trascurato il fondamento di ogni suo singolo articolo, cioè la dignità inerente ad ogni essere umano, da cui derivano tutti i diritti umani e primo fra tutti il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale.
Nessun Padre Costituente – anche il più ateo ed agnostico – avrebbe potuto mai pensare che la Corte Costituzionale avrebbe potuto usare la Carta Costituzionale per far diventare un “diritto” ciò che loro stessi hanno condannato come orribile delitto in Hitler ed i suoi collaboratori, cioè l’eugenismo di stato.
Quando leggiamo nella citata sentenza al punto 9.− “Nel merito, la questione è fondata, in relazione al profilo – assorbente di ogni altra censura – che attiene al vulnus effettivamente arrecato, dalla normativa denunciata, agli artt. 3 e 32 Cost.
Sussiste, in primo luogo, un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell’indiscriminato divieto, che le denunciate disposizioni oppongono, all’accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni. E ciò in quanto, con palese antinomia normativa … , il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali – quale consentita dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) − quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto «accertati processi patologici […] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».
Vale a dire che il sistema normativo, cui danno luogo le disposizioni censurate, non consente (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire “prima” alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere “dopo” una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute.
Dal che, quindi, la violazione anche dell’art. 32 Cost., in cui incorre la normativa in esame, per il mancato rispetto del diritto alla salute della donna. Senza peraltro che il vulnus, così arrecato a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all’aborto.
La normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell’ordinamento – ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria – nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che, nel quadro di disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata. Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo “criterio normativo di gravità” già stabilito dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978.” oltre ad avere una conferma che la fecondazione extracorporea è indissolubilmente connessa con l’aborto volontario – mentre paradossalmente sembra cercare l’opposto, cioè un figlio sano a qualunque costo – perché considera l’embrione, il più piccolo, debole ed indifeso degli uomini, come una cosa senza valore, o come appare da alcuni passi della sentenza non lo considera affatto, salvo voi ad affermare che comunque sarebbe destinato a morire. Nell’affermare “Senza peraltro che il vulnus, così arrecato a tale diritto, possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in una esigenza di tutela del nascituro, il quale sarebbe comunque esposto all’aborto” i giudici, forse, non sanno o sottovalutano ciò che avviene normalmente quando si ricorre alla fecondazione extracorporea ed alla diagnosi reimpianto, cioè come solo circa il 3% di tutti gli embrioni prodotti e sottoposti a PGD (diagnosi preimpianto) e solo il 6,7% di tutti gli embrioni trasferiti in utero riesce a sopravvivere fino al parto, per cui una coppia portatrice di grave patologia genetica ereditaria può dover ripetere più  volte la fecondazione extracorporea per soddisfare il desiderio di avere un figlio sano.
Come è facilmente comprensibile non c’è alcuna tutela del concepito dal momento che 97 concepiti vengono esposti a morte certa per poter far nascere  3 bambini esenti da quella patologia genetica e non si può neanche invocare la violazione anche dell’art. 32 Cost. per il mancato rispetto del diritto alla salute della donna, perché la donna stessa sottoponendosi più volte a fecondazione extracorporea corre più rischi per la salute rispetto ad una gravidanza insorta spontaneamente in particolare se si tiene conto che in queste situazioni si ricorre ad una stimolazione ovarica in grado di offrire molti più ovociti di quelli necessari in caso di sterilità ed infertilità di coppia.  Dal punto di vista etico quando – superato il momento della ricerca spasmodica del figlio sano – la coppia si renderà conto del cammino fatto il danno psicologico sarà anche maggiore di quello dell’aborto impropriamente detto terapeutico perché maggiore è il numero dei bimbi sacrificati, che anche se molto piccoli sono sempre loro figli.
Ci chiediamo se una Società che non è in grado di accogliere e prendersi cura dei suoi figli più deboli ed indifesi possa ancora considerarsi una società civile e democratica.
Dal punto di vista scientifico ci chiediamo se invece di seguire ciecamente certe ideologie suicide non sarebbe più utile tenere in considerazione  il monito di Christian Godin nel libro scritto assieme a Jacques Testart La vita in vendita  « Poiché non sappiamo – dice Godin -quali saranno le malattie di domani, ignoriamo quali siano i geni “buoni” nei confronti di queste malattie.
Al contrario, nel nostro zelo eugenista potremmo voler eliminare un gene che dichiariamo “cattivo” o “inutile” ma che potrebbe essere molto prezioso nel futuro nel caso in cui la specie umana venisse investita da una nuova malattia ancora sconosciuta » (p. 93).
Per la razza umana, insomma, vale lo stesso principio tante volte invocato per l’ambiente naturale: la forza di un ecosistema dipende dalla sua biodiversità, impoverirla rischia di  essere  biologicamente  suicida.»

 

Roma, 12 giugno 2015

 

 

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